Computers for the masses, not the classes
Jack Tramiel
Il mondo dell’informatica degli anni settanta dello scorso secolo era molto differente da quello che conosciamo oggi. I computer erano solo da poco diventati un oggetto conosciuto dal grande pubblico ed erano ancora relegati in gran parte ad un uso professionale. Costavano tanto, erano grandi ed ingombranti e facevano prettamente cose utili ai professionisti: calcoli, video scrittura, database, etc.
Durante gli anni settanta cominciano ad arrivare i primi “personal” computer, nuovi microcomputer che erano non più destinati solo ai tecnici specializzati, ma anche a tutte quelle figure che necessitavano di velocizzare o migliorare il proprio lavoro senza per forza avere una laurea in informatica.
Il computer comincia a diventare un oggetto di uso comune in ufficio: lo usa la segretaria, lo usa lo scrittore, lo usa il contabile, e così via.
I personal computer arrivano anche nelle case: magari è quello “di papà” che lo usa “per lavoro” dentro al suo studio. I prezzi di quelle macchine sono esorbitanti se paragonati a quanto ci aspetteremmo di pagare oggi: si dovevano spendere decine di migliaia di dollari (di oggi) per acquistare un PC. L’IBM 5100 del 1975, uno dei primi PC portatili, costava ventimila dollari dell’epoca, oltre 115 mila dollari di oggi.
Verso la fine del decennio arrivano poi i primi “home” computer, macchine pensate espressamente per l’uso casalingo, per chi voleva o doveva lavorare anche da casa.
Erano microcomputer che spesso si potevano collegare alla TV di casa e permettevano almeno di risparmiare sul monitor, ma di certo non erano economici. L’Apple II, tra i meno costosi e diffusi home computer, uscì nel 1977 e costava tra i seimila e i dodicimila dollari di oggi (era venduto a partire da 1.298$ di allora). Sul fronte dei personal computer invece il primo IBM PC del 1981 costava l’equivalente di oltre cinquemila dollari di oggi (1.565$ di allora, senza monitor)
Gli anni ottanta sarebbero stati dominati dai personal e home computer di IBM e Apple e oggi ogni volta che qualcuno scrive della storia dell’informatica non manca di raccontare la storia delle persone e dei prodotti che sono uscite da quelle società e che hanno poi influenzato, e che ancora influenzano, la nostra vita. Ma c’è un tarlo che mi perseguita ogni volta che leggo una biografia o un libro di storia dell’informatica: spesso si parla poco o niente di Commodore. E ancora meno di MOS Technology.
Ma, come sto per raccontarvi, tutta la cultura pop moderna deve moltissimo a queste due società e agli uomini che hanno cercato disperatamente per anni di abbassare i prezzi di microprocessori e home computer, combattendo contro le logiche del mercato e i limiti della tecnologia dell’epoca.
All’inizio degli anni settanta l’elettronica era stata rivoluzionata dai microprocessori: venivano utilizzati nei computer, nelle calcolatrici, dentro agli arcade game che spopolavano nelle prime sale giochi. I grandi produttori di microchip negli Stati Uniti dell’epoca erano Intel, Texas Instruments e Motorola. Queste aziende avevano in mano il mercato in ambiti differenti, controllando di fatto quanto sarebbero costati i prodotti realizzati con i loro chip, che erano largamente il componente più costoso di quelle macchine.
Il fiorente mercato delle calcolatrici era in mano a Texas Instruments (TI) che produceva il chip più utilizzato negli Stati Uniti dai tanti produttori dell’epoca. All’inizio degli anni settanta TI decide di cominciare a vendere delle sue calcolatrici invece di vendere solo i chip agli altri produttori. E decide di mettere in vendita le sue calcolatrici ad un prezzo addirittura inferiore di quello a cui vendeva fino a poco prima i suoi chip agli altri produttori. È una rivoluzione per il settore che vede l’arrivo di calcolatrici molto più economiche e al tempo stesso la morte di una infinità di aziende che prima producevano comprando chip da TI e che si ritrovano da un giorno all’altro completamente fuori dal mercato. La prima calcolatrice portatile di Texas Instruments esce nell’aprile del 1972: la TI-2500 Datamath verrà venduta a 150 dollari dell’epoca (oltre 1000 dollari di oggi) un prezzo che vi sembrerà alto, ma che in realtà era un terzo del prezzo degli altri produttori di calcolatrici più diffuse.
Nello stesso anno Casio farà di meglio con i chip di Hitachi mettendo sul mercato la prima portatile a meno di cento dollari: la Casio Mini costerà solo sessanta dollari di allora e verrà venduta in milioni di esemplari facendo esplodere il mercato delle “calcolatrici per tutti” in tutto il mondo. Ve ne parlo più avanti in questo stesso libro.
È una segnale fortissimo non solo per il mondo delle calcolatrici, ma per tutta l’elettronica di consumo: si possono vendere chip ad un costo inferiore, si possono vendere prodotti elettronici ad un costo inferiore.
MOS Technology
MOS Technology era stata fondata qualche anno prima, nel 1969, da tre ex dirigenti di General Instrument, proprio per iniziare la produzione di microchip in modo da creare un concorrente a Texas Instruments e agli altri produttori che stavano dominando il mercato. Nel 1972 chiuse un importante contratto di fornitura per dei nuovi custom chip realizzati per controllare uno dei primi videogiochi: erano i chip di MOS infatti a far funzionare la prima versione da sala giochi di Pong di Atari. Tutto cambia nel 1975: c’è un gruppo di ingegneri di Motorola, capitanato dal leggendario Chuck Peddle, che vuole a tutti costi realizzare un microprocessore a basso costo. L’azienda sta facendo milioni di dollari grazie al suo famoso Motorola 6800 e non ne vuole sapere di assecondare questa idea di mettere sul mercato un chip più economico. Peddle ha visto cosa è successo con il mercato delle calcolatrici pochi anni prima e vuole che lo stesso avvenga per quello dei computer e in generale per tutto il mercato dell’elettronica basata su microprocessore: avere a disposizione un chip che costi qualche dollaro invece di diverse centinaia significherebbe che tantissimi altri settori potrebbero cominciare ad utilizzare questa tecnologia nei loro prodotti. E significherebbe anche avere computer più economici e quindi accessibili da più persone. Ma Motorola non ci sta: vende il suo 6800 a 175 dollari al pezzo, altro che economico.
La recessione dell’anno prima aveva fatto male a tutto il settore, inclusa Motorola che aveva licenziato migliaia di dipendenti e ora stava spostando la produzione dei microprocessori in Texas, chiedendo quindi a tutti i suoi ingegneri, compreso Peddle, di fare i bagagli e spostarsi in un altro stato.
La misura è colma e nell’agosto del 1975 Chuck Peddle e altri sette ingegneri di Motorola che hanno lavorato alla creazione del 6800 abbandonano la società e inseguono l’idea di creare un nuovo chip più economico andando a lavorare per un piccolo produttore di semiconduttori della Pennsylvania, MOS Technology.
Il nuovo gruppo diretto da Peddle progetta e realizza per MOS due nuovi processori che rivoluzionano l’industria: il 6501 e il 6502.
Il primo ha addirittura la stessa piedinatura del Motorola 6800 (risultando quindi compatibile con schede madri progettate per quest’ultimo, ma con un set di istruzioni diverse per cercare di evitare guai legali) e grazie alla rimozione di tantissime caratteristiche che non erano ritenute essenziali riuscirono a ridurne enormemente le dimensioni pur mantenendo prestazioni molto simili al 6800. E il nuovo processore di MOS era venduto a 20 dollari invece dei 175 chiesti da Motorola.
Motorola rispose facendo causa a MOS e riducendo il prezzo del suo 6800 da 175 a 69 dollari. La causa si concluse l’anno successivo con MOS che decise di eliminare il 6501 (quello con gli stessi piedini del Motorola 6800) e di acquistare alcune licenze di uso da Motorola… ma ormai MOS era già diventata famosa tra i tanti produttori che avevano firmato contratti di fornitura per i suoi processori a basso costo. Nello stesso anno Motorola ridusse il prezzo per singolo 6800 a 35 dollari.
Peddle e i suoi compari avevano ottenuto quello che volevano: lavoravano per una società nuova, che condivideva le loro idee ed erano riusciti ad influenzare il mercato dei microprocessori, facendo in modo che i prezzi scendessero enormemente e che molte più aziende potessero godere di quella tecnologia.
Ma era solo l’inizio.
Commodore Business Machines
I fondatori di Commodore, Jack Tramiel e Manfred Kapp, si conobbero all’inizio degli anni cinquanta mentre lavoravano entrambi per la Ace Typewriter Repair Company di New York. Aprirono nel 1954 un negozio che vendeva macchine sommatrici (le prime calcolatrici totalmente meccaniche che effettuavano solo somme) prodotte dalla Everest Office Machines e poi convinsero quest’ultima a cedergli la distribuzione esclusiva delle sue macchine per il Canada. Aprirono quindi una nuova società a Toronto nel 1955.
Tramiel era un uomo d’affari estremamente scaltro. Quando arrivò la crisi delle sommatrici alla fine degli anni cinquanta fu pronto a passare ad un nuovo prodotto per gli uffici: le macchine da scrivere.
Fondò la Commodore Portable Typewriter e cominciò ad importare in Canada modelli a basso costo prodotti in Cecoslovacchia. I due soci vendettero poi parte delle loro quote ad un grande gruppo finanziario canadese e riuscirono a quotare la loro prima società nella borsa di Montreal. Nasce così nel 1962 la Commodore Business Machines.
Grazie all’infusione di capitali Commodore si espanse rapidamente durante gli anni sessanta: costruì una nuova fabbrica in Germania per produrre sue macchine da scrivere, cominciò a vendere mobili per l’ufficio e anche attrezzature radio. Iniziò anche i primi rapporti con la nascente industria elettronica giapponese per la produzione di calcolatrici. Commodore importava in quegli anni calcolatrici prodotte da Casio e altri e le rimarchiava per il mercato canadese e americano.
Nel 1971 Commodore mise sul mercato la sua prima calcolatrice: la Commodore C110 era una versione OEM della Bowmar 901B che è considerata una delle primissime calcolatrici portatili al mondo e la prima prodotta negli Stati Uniti.
Poi succede quello che vi ho già raccontato: Texas Instruments comincia a produrre le sue calcolatrici e Commodore è tra le aziende che si ritrovano improvvisamente fuori mercato. Tramiel rimane molto scottato, ma impara la lezione: essersi affidato ai chip di Texas Instruments per le sue calcolatrici lo ha messo in una posizione di svantaggio enorme e non vuole ricascarci. Riesce a trovare nuovi investitori e con i nuovi fondi ha un solo obbiettivo: acquisire aziende produttrici di microprocessori. Ed è nel 1976 che la Commodore Business Machine acquisisce MOS Technology e inizia per davvero la nostra storia.
DAL KIM-1 AL PET
Durante le trattative per l’acquisizione di MOS, Jack Tramiel aveva conosciuto Chuck Peddle e ne era rimasto stregato. Ci aveva visto giusto un’altra volta. Nel contratto di acquisizione fece inserire la clausola che Peddle sarebbe dovuto passare a lavorare direttamente per Commodore, come capo ingegnere. Una volta in Commodore Peddle convinse Tramiel che il mercato delle calcolatrici aveva già raggiunto il picco massimo e che non aveva senso continuare a produrne combattendo con i prezzi sempre più bassi imposti dai giapponesi. Commodore avrebbe dovuto concentrarsi su un mercato appena nato, quello degli home computer. Ma per farvi capire come Peddle arrivò a dare questo consiglio ho bisogno di fare qualche passo indietro.
Utilizzando il chip 6502 di MOS Peddle aveva già costruito il TIM-1 (Terminal Interface Monitor) e il KIM-1 (Keyboard Input Monitor) i primi single board computer del mondo, che servivano ad insegnare ai primi programmatori come programmare il 6502 utilizzando una dispositivo estremamente economico: il KIM-1 veniva venduto a soli 245 dollari e includeva un lungo manuale di programmazione scritto da Peddle stesso. Su quei single board iniziarono a programmare migliaia di programmatori che lavoravano nelle tante aziende che utilizzavano il chip 6502 per i loro prodotti. Mentre promuoveva il chip 6502 di MOS e le single board per programmarlo, Peddle fece il giro degli Stati Uniti incontrando centinaia di ingegneri, programmatori e semplici appassionati di elettronica che volevamo mettere le mani sui suoi nuovi microprocessori. Il ruolo di Chuck era quello di istruire all’uso del 6502, spesso programmando di suo pugno da zero il chip per i diversi clienti come ad esempio Ford, che lo utilizzava nelle sue fabbriche.
Durante questi viaggi Peddle venne a conoscenza di un paio di ragazzi in California che cercavano aiuto per programmare il 6502. Stavano cercando di costruirci attorno un computer, nonostante quel chip non fosse nato per quell’uso. Quando Chuck aprì la porta del garage in cui lavoravano si ritrovò di fronte Steve Jobs e Steve Wozniak al lavoro sull’Apple I.
Fu una folgorazione: i tempi erano maturi per costruire un computer economico per tutti. Chuck andò allora da Radio Shack per provare a vendere la sua idea di Personal Computer, ma i dirigenti della grande catena di negozi di elettronica non accettarono di finanziarne la produzione. E poi arrivò Tramiel e Commodore acquisì MOS Technology. E improvvisamente Chuck si ritrovò con i fondi e la distribuzione necessari a costruire e vendere un vero personal computer. Ritorniamo quindi al 1975: Tramiel ha appena comprato MOS e Peddle è diventato il nuovo capo ingegnere di Commodore. Tramiel capisce che l’idea di Peddle di abbandonare la produzione di calcolatrici e abbracciare il nascente mercato dei personal computer può rivelarsi giusta, ma non vuole partire da zero quindi fa un viaggio in California per cercare di acquisire una piccolissima azienda che ne sta per mettere sul mercato uno: Apple. Avete letto bene. Jobs e Wozniak chiedono a Tramiel 150 mila dollari per la loro società. Ma a Tramiel sembra troppo per un’azienda che non ha ancora messo sul mercato niente e che ha come sede un garage. Abbandona le contrattazioni e decide di dare mano libera a Peddle per fare tutto da zero in Commodore.
Vorrei ora che perdeste un solo minuto per pensare a cosa sarebbe successo se Commodore avesse acquisito Apple e adesso vivessimo in un universo in cui è esistita un’azienda con Chuck Peddle, Jack Tramiel e Steve Jobs che sfornano computer.
Ma continuiamo la nostra storia: a questo punto Peddle si tira su le maniche e, praticamente da solo, realizza il primo prototipo del Commodore PET, il primo personal computer all-in-one della storia. C’era un monitor realizzato da zero utilizzando un vecchio manuale scritto da Adam Osborne su come costruire una televisione, c’era un lettore di cassette per caricare e salvare programmi, c’era una comoda tastiera completa di tutte le lettere.
Era una meraviglia. Ma mancava una cosa molto importante per renderlo appetibile ad un mercato di massa e non solo a qualche smanettone che sapeva programmare in linguaggio macchina: mancava ancora il BASIC.
Il MICROSOFT!ORE BASIC
Bill Gates e Paul Allen fondarono Microsoft proprio nel 1975, mentre Chuck costruiva il primo prototipo del Commodore PET. Il prodotto più importante sviluppato in quel periodo dalla piccola società di Seattle era il BASIC (Beginner’s All-Purpose Symbolic Instruction Code) un linguaggio di alto livello che permetteva di programmare un computer senza la necessità di conoscerne il linguaggio macchina. La società nacque proprio per sviluppare il BASIC per l’Altair 8800, uno dei primi microcomputer con processore 8080 di Intel. Sembrerà assurdo, ma il problema più grosso che aveva Microsoft già nel 1975 era la pirateria: il suo BASIC era facile da copiare e praticamente nessuno ne pagava la licenza d’uso, chi aveva un 8800 si limitava a farsi passare il software e a caricarlo in memoria. È famosa la lettera scritta da Gates nel 1976 all’Homebrew Club chiedendo di smettere di rubare il BASIC e cominciare a pagarne la licenza in modo che Microsoft non dovesse chiudere i battenti già al primo anno di vita.
Peddle visitò Microsoft in quei mesi e cominciò a lavorare insieme ad uno dei suoi primi dipendenti (Rick Wyland) alla realizzazione di una versione del BASIC da caricare direttamente nella ROM (Read Only Memory). Questa memoria veniva installata direttamente sui computer che avevano bisogno del BASIC, rendendo molto più difficili le copie illegali.
Tramiel convoca quindi Gates per acquisire la licenza del BASIC da installare sulle ROM dei computer Commodore. Gates propone un costo di tre dollari a macchina e la risposta di Tramiel entra nella storia: “Sono già sposato”. La vecchia volpe riesce a far firmare un accordo al ventenne Bill Gates per una licenza perpetua e senza limiti, in cambio di un versamento unico di soli 25 mila dollari. Non solo: il nome di Microsoft non comparirà nelle schermate di avvio e Commodore potrà sviluppare internamente il BASIC per le sue nuove macchine partendo dai sorgenti di Microsoft e aggiungendo nuove funzionalità, col solo limite di fornire a Microsoft questi aggiornamenti.
Il BASIC verrà utilizzato in tutti i computer Commodore basati su chip 6502 che arriveranno negli anni seguenti, venduti in decine di milioni di pezzi. È uno dei più grandi affari della storia dell’informatica.
Il Commodore PET 2001 era così pronto per il mercato e fu presentato nel gennaio del 1977 alla West Coast Computer Faire.
L’EASTER EGG NEL BASIC 2.0
È solo dal BASIC 7.0 introdotto con il Commodore 128 nel 1985 che arriva una notifica di copyright di Microsoft, ma già dal BASIC 2.0 sui primi PET è possibile attivare un piccolo easter egg che Microsoft ha inserito: se digitate il comando “WAIT 6502, 1”, nella prima riga dello schermo comparirà la scritta “MICROSOFT!” coprendo così “COMMODORE”.
A new kind of bicycle
Nel 1980 Steve Jobs rilasciò una intervista per il Wall Street Journal in cui disse la famosa frase:
When we invented the personal computer, we created a new kind of bicycle.
Steve Jobs
Se recuperiamo l’articolo dell’epoca, vedremo che il sottotitolo riporta: “Steve Jobs ha inventato il personal computer nel 1976 insieme al suo socio Steve Wozniak”.
Quella intervista è servita, insieme ad altri articoli e video, a creare il mito di Jobs e della Apple: quello che scrivono e pensano in tantissimi è che Jobs e Wozniak hanno inventato il primo personal computer in un garage, poi è arrivato Mike Markkula con un po’ di soldi e hanno fondato Apple, poi hanno messo in commercio l’Apple II e magicamente hanno portato il computer nelle case di tutti, fino ad arrivare al primo Macintosh del 1984 e a tutto quello che segue. Come vi ho già raccontato, non è andata propriamente così. O meglio: quello che ho appena scritto è tutto successo, ma la questione è ben più complessa di due ragazzini in un garage che “inventano il PC”. Gli attori in gioco erano tanti, così come le diverse tecnologie coinvolte. Decine di ingegneri stavano lavorando a versioni differenti di microchip e di modi di usare quei chip dentro a nuovi computer. Se volete approfondire per davvero tutta la storia di Commodore e di come è davvero nato il personal computer vi consiglio caldamente la lettura di “Commodore: A Company on the Edge” di Brian Bagnall. Io in questa storia vi sto riassumendo le parti salienti cercando di contestualizzarle per arrivare alla nascita del Commodore 64, ma in quel libro troverete la vera storia di come è nata l’informatica moderna e scoprirete che gran parte del merito è di Chuck Peddle, di Jack Tramiel e dei tantissimi ingegneri che hanno lavorato in MOS e in Commodore in quegli anni. Ma torniamo a noi.
Un computer per tutti
All’inizio degli anni ottanta era Commodore a dominare il nascente mercato degli home computer: e lo faceva grazie alle vendite del VIC-20. Il primo computer della storia a vendere un milione di pezzi. Vediamo come ci arrivò.
Il Commodore PET del 1977 fu solo l’inizio: l’azienda negli anni successivi aggredì il nascente mercato dei computer con tre diverse linee: una business, una personal e per ultima anche una consumer, destinata all’uso casalingo.
Alla fine del decennio si stava delineando chiaramente la possibilità di cominciare a vendere computer non più solo alle aziende e ai professionisti, ma anche a chi voleva utilizzarli in casa per svago o per usi più personali. Radio Shack aveva già avuto un buon successo di vendite con il suo TRS-80 Model I del 1977 (ricordate chi gli diede l’idea?) e nel 1980 lanciò una nuova versione più economica di quel primo computer, il TRS-80 Color Computer: un corpo unico che includeva la tastiera, poteva essere collegato alla televisione di casa, caricava i software velocemente da cartuccia e veniva venduto a soli 399 dollari (1400 di oggi).
Apple nello stesso anno vendeva l’Apple II Plus a 1200 dollari e stava avendo un grande successo di vendite grazie alla diffusione di programmi come VisiCalc che ne facevano uno strumento estremamente utile ad un prezzo relativamente basso se paragonato ai computer pensati per il mercato business che viaggiavano su cifre estremamente più alte.
Jack Tramiel vede in questa situazione una grande opportunità: perché non realizzare un home computer che, grazie alle componenti che produceva internamente dopo l’acquisizione di MOS, potesse essere al tempo stesso abbastanza potente da far girare programmi utili come VisiCalc e abbastanza economico da poter arrivare davvero nelle case di tutti e non solo in quelle di chi poteva permettersi un Apple II? Con il cambio di decennio e l’arrivo di tanti nuovi concorrenti nel mercato i prezzi delle componenti dei computer sarebbero scesi inevitabilmente e ci sarebbe stato un buon margine anche vendendo a prezzi estremamente inferiori rispetto alla concorrenza. Era una visione coraggiosa e, come vedremo, azzeccatissima.
Il VIC-20
Nel frattempo in MOS Technology Robert Yannes aveva da poco sviluppato un nuovo prototipo di computer con l’aiuto di Al Charpentier e Charles Winterble. Lo avevano chiamato MicroPET ed era appunto una versione semplificata del primo PET.
Se c’è una costante nella storia di Commodore è una: le deadline mortali che Tramiel imponeva al suo team di ingegneri di Commodore e MOS.
Jack vedeva una opportunità e subito chiedeva di realizzare un prototipo funzionante in tempo per la successiva CES di Las Vegas, che si tiene ancora oggi a gennaio ed è la più importante fiera dedicata all’elettronica di consumo.
Quando Tramiel vide nel 1979 il prototipo del MicroPET non aspettò un momento prima di dire la frase che avrebbe ripetuto tante altre volte negli anni successivi: “finitelo e portiamolo al prossimo CES di gennaio”.
Mentre facevo le mie ricerche per questa storia ogni volta mi sono stupito di come i più importanti computer di Commodore, dal VIC-20 al Commodore 64, non fossero stati realizzati nel corso di anni, ma tirati su in fretta e furia in qualche mese: è assurdo visto che il mercato di allora era totalmente “aperto”, i competitor erano pochissimi e il ciclo di vita di ogni prodotto sarebbe poi stato di diversi anni, anche dieci o più. Ma Tramiel non era un ingegnere, era un uomo d’affari e sapeva che il tempismo, a prescindere da tutto il resto, era l’elemento più importante.
E allora Commodore si mise al lavoro sul nuovo computer da portare al CES del 1980. Insieme ad un team ristretto di ingegneri aggiunsero al MicroPET quello che ancora mancava: il sistema operativo (il kernel base e l’interprete BASIC su ROM) e il set di caratteri PETSCII venivano dal PET, poi ci misero una interfaccia joystick standard di Atari compatibile con il mitico Atari CX-40 uscito qualche anno prima con la leggendaria 2600 e anche una porta per cartucce ROM da cui caricare velocemente nuovi software oltre ad una porta cassette per utilizzare il nuovo Datasette, che permetteva di leggere e salvare programmi dalle economiche cassette audio tanto diffuse all’epoca. Arriva anche per la prima volta la nuova porta seriale CBM-488 che sarebbe servita per collegare al computer periferiche esterne come una stampante o un lettore di floppy disk.
Il team era capitanato da Michael Tomczyk ed era composto da pochi ingegneri, erano i “VIC Commandos” e Tomczyk era il “VIC Czar”. Pochi, ma buoni si direbbe oggi. Michael impose alcune sue scelte che si riveleranno determinanti: l’inserimento di una tastiera completa e comoda da utilizzare (non come certe economiche tastiere a membrana dei competitor che arriveranno poi) e la creazione del primo MODEM economico: il VICModem sarà il primo MODEM della storia a vendere oltre un milione di pezzi, costava 100 dollari e insieme al VIC-20 era una soluzione super economica per collegarsi in rete. Quel prodotto influenzò il mercato e diffuse l’uso delle prime BBS (Bullettin Board System, i primi forum online per farla semplice) quindici anni prima che il World Wide Web diffondesse nelle case l’uso di Internet.
Nel frattempo il resto del mondo non stava a guardare: in particolare anche in Giappone si stavano diffondendo i primi home computer e Tramiel decide di “colpire per primo” facendo uscire il suo nuovo VIC-20 prima nella Terra del Sol Levante che negli Stati Uniti.
The Japanese are coming, so we must become the Japanese!
Jack Tramiel
Il VIC-1001 era la versione giapponese del VIC-20, il prodotto venne finalizzato da Commodore Japan dove Yash Terakura spiegò agli americani l’importanza di aggiungere già al lancio diversi videogiochi su cassetta e un packaging colorato e “friendly”, distante anni luce da come si presentavano i computer in America allora.
I primi videogiochi su cartuccia per il VIC-20 furono sviluppati in qualche settimana, erano porting dei grandi successi da sala giochi dell’epoca come Pac-Man o Space Invaders oltre che a nuove idee come Adventure International di Scott Adams, una delle primissime avventure testuali. È fantastico pensare a come il primo home computer di grande successo della storia sia stato il risultato di due diverse culture, quella americana tutta incentrata sul suo uso “utile” e “business” e quella giapponese, che aggiunse l’elemento ludico all’equazione perfetta.
Il prezzo di vendita era estremamente aggressivo: 299.95 dollari, cento in meno del computer di Radio Shack e un quarto di quello di Apple. Fu un successo strepitoso, prima in Giappone nel 1980 e poi negli Stati Uniti e in Europa nel 1981.
Il VIC-20 permise a Commodore di crescere enormemente, vendette quasi tre milioni di pezzi in tutto il mondo nei cinque anni successivi e mise la basi per la creazione del più leggendario degli home computer, il Commodore 64.
Il VIC-40
Nel 1981 in MOS Technology si iniziò a lavorare su due nuovi chip che sarebbero stati determinanti per la nostra storia. Il primo, il VIC-II (Video Integrated Circuit for graphics) si occupava di gestire la grafica e, tra le altre cose, aggiungeva il supporto hardware ad uno degli elementi più utilizzati dalla nascente industria dei videogiochi: gli sprite. Il secondo, il SID (Sound Interface Device for audio) invece portava per la prima volta in un computer un supporto completo multicanale per la generazione di suoni che avrebbe permesso di comporre ed eseguire musiche anche complesse all’interno delle applicazioni o dei videogiochi. Nel frattempo Yash Terakura si era spostato dal Giappone agli Stati Uniti e aveva avuto da Tramiel mano libera per sviluppare un suo nuovo prodotto da zero, una console da videogiochi che competesse nel mercato casalingo con Atari. Terakura la chiamò Ultimax, ma quando i colleghi americani gli fecero notare che sembrava il nome di un prodotto per l’igiene femminile, cambiò il nome in MAX Machine. Quella console non fu un successo, ne furono prodotte nel 1982 solo poche copie per il mercato giapponese e fu poi schiacciata da Nintendo che nel 1983 rilasciò il Famicom in Giappone, ma questa è un’altra storia.
Il punto è che quei due chip di MOS che erano stati pensati per quella console furono la base su cui si costruì il Commodore 64.
I due ingegneri che avevano lavorato al VIC-II e al SID, Robert Russell e Robert Yannes, erano convinti che Commodore si stesse dedicando troppo alle sue linee di computer business (di cui non vi sto minimamente parlando, ma che erano un’ottima fonte di fatturato con macchine come il B128, evoluzione del primo PET) e troppo poco al mercato consumer. Rimproveravano a Tramiel di avere abbandonato il suo mantra “computer for the masses” e volevano che venisse subito sviluppato un degno successore del VIC-20.
Era l’aprile del 1981… il VIC-20 era uscito da un anno in Giappone ed era letteralmente appena arrivato negli Stati Uniti. Tutto il dipartimento marketing di Commodore era al lavoro per venderlo e tutto volevano meno che si parlasse già di un suo seguito: non c’era ancora stato un “Osborne effect”, ma non serviva un genio per capire che annunciare un nuovo computer avrebbe ucciso le vendite del “vecchio”.
Tramiel diede il semaforo verde ai suoi ingegneri, ma avrebbero dovuto lavorare nella più assoluta segretezza e, come al solito, in fretta: voleva presentare il nuovo computer durante il CES successivo del gennaio 1982… ovviamente. Avevano solo nove mesi per tirare su un prototipo funzionante.
Il team era ristrettissimo, ma composto dai migliori possibili: c’erano Yash Terakura, Shiraz Shivji, Robert Russell, Robert Yannes e David A. Ziembicki. Al nuovo computer fu dato il nome di VIC-40 e gli ingegneri si nascosero in un ufficio isolato di Commodore, lontano dal reparto marketing e da occhi indiscreti. Nessuno tranne loro e Tramiel sapeva a cosa stavano lavorando.
Praticamente niente del design del nuovo computer veniva dal VIC-20. Solo la porta seriale, la porta per cassette e quella per cartucce erano le stesse. Aggiunsero anche una seconda porta joystick, continuando ad usare lo standard Atari, ma internamente il computer era tutto nuovo. Yannes era il più vicino alla filosofia di Tramiel di costruire computer economici: cercò in tutti i modi di risparmiare eliminando ogni elemento superfluo per tenere il costo di produzione basso e poter proporre un prezzo di vendita estremamente aggressivo.
I tried to design the cheapest possible thing I could because that was just my nature. I didn’t like expensive things, I didn’t have very much money, and I didn’t see any reason why this stuff needed to be expensive.1Tratto da “Commodore: A Company on the Edge” di Brian Bagnall
Robert Yannes
Nonostante la serie P e B di Commodore (per “Personal” e “Business”) sfoggiasse cabinet dal design ricercato a cui avevano lavorato inizialmente anche lo studio tedesco Porsche Design, per il nuovo computer non venne sviluppato niente di nuovo. Semplicemente non c’era il tempo di farlo come spiega sempre Yannes:
We just put it in a VIC-20 case and spray painted it. Everything about the Commodore 64 is the way it is because of just an unbelievably tight time constraint on the product.
Charles Winterble spiegherà poi che col senno di poi la scelta di usare lo stesso cabinet del VIC-20 è stata una scelta sbagliata, che ha fatto in realtà sprecare un sacco di tempo rispetto a creare qualcosa di nuovo e adatto ai nuovi componenti:
We spent so much time and resources trying to make the motherboard fit inside that stupid VIC-20 case.
Charles Winterble
Al contrario del VIC-20, che si presentava con una schermata di avvio in bianco e nero, il nuovo VIC-40 doveva mostrare fin da subito la sua forza grafica e venne così creata la leggendaria schermata blu.
Blue and white is what we used, because that gave you the best color contrast, other than black and white, which was too boring. We wanted the people to see those colors.
Al Charpentier
Questi primi colori verranno poi cambiati quando si testarono diversi televisori e monitor e si capì che l’azzurro/violetto chiaro e scuro sarebbero stati più adatti grazie al loro minor contrasto a schermo:
Even though it had good contrast, the transition from blue to white produced kind of an ugly edge. We ended up having to make it light blue on dark blue.
Robert Yannes
Il Commodore 64
Avevano il miglior chip grafico e il miglior chip sonoro sul mercato, avevano tutte le porte necessarie per collegare periferiche e dispositivi di storage, un cabinet funzionale e un’ottima tastiera. Mancava una sola cosa: più memoria RAM.
Uno dei limiti più grossi del VIC-20 era stato proprio avere poca RAM: ai tempi i chip di memoria costavano un sacco e MOS non era mai riuscita a svilupparne internamente, quindi Commodore doveva comprarli da altri fornitori e questo incideva enormemente sul costo di produzione dei suoi computer. Inizialmente si decise di includere 16Kb di memoria. Erano molti di più rispetto al VIC-20 che ne aveva solo cinque, ma il costo avrebbe comunque inciso moltissimo sul prezzo di vendita che si sarebbe troppo avvicinato ai competitor più costosi. All’epoca l’Apple II Plus costava sì quattro volte, ma includeva ben 48Kb di memoria. Cambiò tutto qualche settimana prima della presentazione: sul mercato arrivarono per la prima volta tagli da 64Kb di RAM e i prezzi dei tagli inferiori scesero enormemente. Tramiel capì l’andazzo e puntò sul fatto che nei mesi successivi sarebbero usciti altri tagli superiori e il costo della RAM sarebbe progressivamente sceso. Disse al team che il VIC-40 avrebbe montato 64Kb di RAM. Un altro azzardo per niente scontato, che ancora una volta si sarebbe rivelato giusto e fondamentale. Con 64Kb di RAM il nuovo VIC-40 sarebbe stato una macchina incredibile: il top della grafica, il top del suono e anche il top della memoria… un sogno ad un terzo del prezzo dei competitor come Apple che ancora proponevano macchine con 48Kb di RAM.
It was really a brilliant move because 64K RAMs had just come out and it meant that you could introduce a machine that had 64K of memory when everyone else had at most 48K.
Robert Yannes
In meno di nove mesi erano riusciti a tirare fuori un prototipo funzionante che aveva caratteristiche mai viste prima a poteva essere prodotto ad un prezzo estremamente basso.
Il nome VIC-40 rimase per gran parte dello sviluppo del nuovo progetto, fu solo verso la fine che Kit Spencer, il direttore marketing di Commodore, volle uniformare il nome al resto delle linee Commodore: c’era già il P128 che era un Personal Computer con 128Kb di RAM, poi c’era il B256 che era un computer per il mercato Business con 256Kb di RAM… e quindi chiamarono la nuova macchina C64, un computer per il mercato Consumer, con 64Kb di RAM. Ma tutti iniziarono a chiamarlo fin da subito semplicemente Commodore 64.
I decided to name our new product the Commodore 64 and not give it a specific name like the VIC and PET. This was not only because the name flowed quite nicely, but because it’s biggest feature over the Apple was its 64K memory, which was much larger than its competitors had at the time and I wanted to emphasize that right up front in the name.
Kit Spencer
Il reparto marketing di Commodore scoprì dell’esistenza del nuovo computer solo poco prima di quel fatidico CES del 1982.
Crearono le presentazioni dentro all’albergo di Las Vegas in cui erano poco prima dell’inizio della fiera. Erano piuttosto seccati, come è comprensibile, ma eccitati dall’incredibile prodotto che stavano per presentare. Lo stand di Commodore era dominato dal VIC-20 e dagli altri computer dell’azienda, ma fu creato anche uno spazio per presentare il nuovo prodotto in anteprima. C’era una animazione grafica che girava grazie ai nuovi chip e mostrava un uomo che presentava le nuove incredibili funzionalità del Commodore 64, con tanto di musica di sottofondo. Il nuovo home computer di Commodore sarebbe costato 595 dollari. Meno della metà di un Apple II Plus. La metà di un Atari 800.
Fu assurdo anche perché quell’anno al CES non c’era praticamente concorrenza: tutti avevano ancora in esposizione computer presentati gli anni precedenti, aggiornati minimamente con qualche nuovo software. L’Atari aveva portato l’Atari 400 e l’Atari 800, entrambi con meno memoria e grafica ridicola se paragonata al nuovo Commodore 64. Mattel presentava in anteprima l’Aquarius, con 4Kb di RAM e processore Z80. L’appena nata Spectravideo presentava l’SV-318, con 16Kb di memoria. Tutte macchine con molta meno RAM e con una tastiera ridicola rispetto a quella di Commodore, senza contare i nuovi chip grafici e sonori ovviamente.
E non solo. Al contrario dei competitor, il Commodore 64 veniva presentato con già tutta una linea di accessori e periferiche grazie alla sua retrocompatibilità con la porta seriale introdotta dal VIC-20: aveva fin da subito stampanti, disk drive, cassette… tutto.
It used the VIC-20 disk drive and the VIC-20 printer and all the peripherals that had been designed for the VIC-20. We didn’t have time to design new peripherals.
Robert Yannes
Il nuovo Commodore 64 sarebbe stato messo in commercio dopo qualche mese e si sarebbe pure perfettamente sposato commercialmente con il VIC-20 a cui fu ulteriormente calato il prezzo di vendita.
Commodore aveva così a catalogo ben due home computer a prezzi incredibilmente bassi, con periferiche compatibili tra loro.
Il Commodore 64 mi ha cambiato la vita
Il Commodore 64 è stato il mio primo computer. L’ho “incontrato” nella maniera più classica: a casa di un amico. Era estate e quando non avevamo niente da fare in spiaggia ci chiudevamo in casa a giocare. Il mio amico Luca tirava fuori i floppy disk e li infilava in questo aggeggio gigante (il disk drive 1541) collegato a quella che a me sembrava solo una tastiera: era il primo “biscottone” come fu soprannominato in Italia per via della sua forma e colore. Digitava qualche comando a schermo e poi partiva un lungo caricamento durante il quale cominciavano a sentirsi delle musiche che non potrò mai scordare.
Fu in quel periodo che mi innamorai dell’informatica e convinsi qualche anno dopo i miei genitori a comprarmi quel computer: avevo deciso, avrei frequentato l’Istituto Tecnico Industriale e avrei scelto la specializzazione informatica perché nella vita volevo fare il programmatore di computer. Nonostante io abbia una pessima memoria, ricordo perfettamente il giorno in cui portarono a casa quella scatola colorata. Era il Commodore 64C e aveva una scocca tutta nuova derivata dal design del Commodore 128 uscito qualche anno prima. Era bellissimo!
Ancora oggi associo l’odore del polistirolo al Commodore 64 perché mi è rimasto impresso quando l’ho spacchettato. Quel profumo e quella plastica che lo racchiudeva all’interno di quei blocchi di polistirolo non mi si cancellerà mai dalla testa.
Quel computer, che ancora posseggo e che vedete nella foto qui sopra, è stata la mia palestra per tanto tempo: solo qualche anno
dopo, quando effettivamente mi sono iscritto all’ITIS e ho completato il biennio, ho poi ricevuto il mio primo PC con MS-DOS. In quegli anni ho giocato, certo, ma ho anche imparato a programmare in BASIC. Sono anche riuscito a comprarmi l'”Adattatore Telematico” della SIP, uno dei primi MODEM che si poteva collegare al telefono di casa e che mi ha permesso di scoprire “la rete” all’inizio degli anni ’90. Mi collegavo ad una BBS di Bologna, “Arcadia”, era un sogno: potevo trovare altri appassionati di giochi di ruolo come me, condividere opinioni, scaricare nuove avventure e materiali di ogni tipo. Certo, i miei genitori non erano contenti delle bollette, ma li ringrazierò per sempre per avermi supportato in quegli anni, perché quelle esperienze mi hanno, per davvero, cambiato la vita. Il Commodore 64 mi ha fatto appassionare all’informatica, mi ha dato le basi della programmazione che avrei poi affinato a scuola negli anni successivi e che mi sarebbero servite nel mondo del lavoro ponendo le basi di quello che sarei poi diventato: prima un programmatore, poi un webdesigner e infine un creator a tutto tondo che vive grazie ad Internet.
E il mio non è certo un caso isolato, anzi. La mia esperienza è comune a tantissimi altri miei coetanei di quegli anni. Persone che oggi sono professionisti affermati in tutti i campi e che devono moltissimo a quel primo computer economico e potente che ci ha permesso di scoprire un mondo nuovo e diventare le persone che siamo oggi.
Il Commodore 64 ha influenzato come pochi altri oggetti la cultura pop: moltissimi dei registi, scrittori, fumettisti, programmatori, autori… nerd che creano i contenuti, gli oggetti e i servizi di cui godiamo ogni giorno hanno avuto quel computer e hanno scoperto un nuovo mondo in cui rifugiarsi da ragazzi diventando persone diverse, persone migliori.
Grazie Commodore 64!
Questa è la cover story di EPIC.02: all’interno del libro troverai diversi box aggiuntivi con un sacco di curiosità e tantissime foto in più rispetto a questa versione per il sito.
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Bibliografia / Riferimenti
- “Commodore: A Company on the Edge” di Brian Bagnall
- Commodore International (wikipedia.org)
- Commodore 64 (wikipedia.org)
- The Legendary Chuck Peddle, Inventor of The Personal Computer (commodore.ca)
- Bill Gates’ Personal Easter Eggs in 8 Bit BASIC (pagetable.com)
- Did Commodore, more than Apple, contribute to the birth of the personal computer? (medium.com)
- 1Tratto da “Commodore: A Company on the Edge” di Brian Bagnall
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